È vincente quell’allenatore che non «perde i suoi ragazzi»
Proviamo a dare un contenuto all’impegno che spesso evochiamo come il più importante per il Csi il sostegno all’attività giovanile con criteri educativi e formativi per una vita cristianamente ispirata. Cosa vuol dire? Come si attua? Quanto è sentito dalle nostre società sportive? Partirei dalla risposta a quest’ultima domanda: è molto sentito. Lo posso affermare grazie alla lunga esperienza dentro l’Associazione e alle amicizie costruite in questi anni in tutta Italia con tantissimi dirigenti. Ho così la conferma che i giovani, specialmente i più piccoli, sono nel cuore dell’attività educativa e formativa di moltissime società sportive. Tali conferme non devono però farci pensare che, siccome c’è già chi se ne occupa, a livello centrale, in Presidenza Nazionale, non si debba prendere in carico questo tema. Anzi, è vero il viceversa: proprio perché c’è già molta sensibilità a noi spetta il compito di sostenerla e tutelarla con scelte nazionali appropriate. La “politica” della vicinanza alle società sportive e ai Comitati che lavorano per lo sport dei più piccoli e dei ragazzi è fatta di regole e di azioni concrete. Si tratta di costruire modalità organizzative che favoriscano questo impegno, di fare in modo che l’Associazione affianchi e tuteli quei dirigenti che più si danno da fare. Bisogna costruire percorsi di formazione seri e motivanti, con i quali realizzare una struttura solida di allenatori, istruttori e dirigenti che possano svolgere il loro servizio per le generazioni più giovani, nella sicurezza, nella condivisione, sostenuti dal favore e dall’entusiasmo di tutto il Csi. Si tratta di immaginare una scala dei valori capovolta rispetto alla corrente che domina in questi anni. Il migliore non è l’allenatore che fa vincere tutti i campionati e magari tiene in panchina i ragazzi meno dotati per conquistare i punti della classifica, ma è l’allenatore che nel corso dell’anno non perde le “sue” ragazze o i “suoi” ragazzi ma addirittura, a volte, ne accoglie anche di nuovi. L’allenatore migliore è quello che si fa amare dai ragazzi e dalle loro famiglie, che provoca una contaminazione gioiosa del valore dello sport come cemento che lega le diverse componenti della società e permette di partecipare a costruire una “casa” per tutti. Per i bravi e per i non bravi. Ho visto allenatrici e allenatori arrivare a risultati meravigliosi perché hanno saputo coniugare competenza tecnica e sensibilità, cultura umana e psicologia. Ci vuole cuore, ma non basta. Ci vuole anche una bella testa pensante. Non è facile, me ne rendo conto, ma nella nostra rete, fatta di oratori, di parrocchie, di società sportive che puntano innanzi tutto alla formazione, questo è possibile. Un allenatore è bravo quando i ragazzi che gli sono stati affidati sono amici fra di loro, capaci di solidarietà e di sostegno reciproco, capaci di uscire dal campo, a partita ancora aperta, felici anche se consapevoli di essere più bravi di quelli che entrano per sostituirli. Perché lo sport è un’avventura meravigliosa che rende più bella tutta la società. Altrimenti è stress, rabbia, accanimento, contrasti, liti. A quel punto, a mio modo di vedere, non è più nemmeno sport.